SIOF | Società Italiana di Odontoiatria Forense
(articolo pubblicato su Management Odontoiatrico)
di Enrico Ciccarelli, medico legale e consigliere nazionale SIOF
L’epidemiologia dei casi di malpractice, in aumento negli ultimi anni, ha indotto il legislatore ad una riforma della normativa relativa alla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo all’art 8 della L 24/17 (Gelli-Bianco) due strumenti: la mediazione e l’ATP. Si tratta di antecedenti obbligatori, alternativi alla procedibilità dell’azione in sede giudiziaria, senza che vi sia un’indicazione gerarchica o temporale su quale dei due strumenti debba essere utilizzato precedentemente all’altro e senza che la fruizione dell’uno escluda l’utilizzo successivo dell’altro.
In questo contesto si vogliono analizzare le differenze che contraddistinguono i due strumenti, tenendo conto che entrambi nascono con la funzione di “filtro” verso il successivo giudizio di merito. Preliminarmente è doveroso un richiamo normativo laddove la “mediazione” trova la sua ratio nel d. lgs 28/10, all’art 5, comma 1, ratificata dalla L. 98/2013 mentre l’ATP trova la sua giustificazione nell’art 696 bis C.C. Benché lo scopo di entrambi i procedimenti sia il medesimo, e cioè la composizione della “lite”, i metodi, le tecniche e i modi per giungere a tale finalità sono differenti.
La mediazione infatti è in primis una procedura stragiudiziale che quindi preferisce un tentativo fattivo di collaborazione tra le parti attraverso l’instaurarsi di un canale di comunicazione tra le stesse, escludendo la via giudiziale che spesso prevede l’acuirsi della conflittualità invece che il perseguimento dell’accordo tra le parti. Un altro aspetto di distinzione fondamentale (anche se vedremo che anche questa differenza sta venendo meno) tra i due strumenti è dato dal fatto che nella mediazione vi è un assoluto obbligo di riservatezza (art 9-10-14 d.lgs. 28/10 in relazione a quanto acquisito nel corso della procedura.
In realtà l’art 1 comma 4, della L 206/21 ha ridotto la differenza in tal senso con l’ATP, prevedendo la possibilità di produrre in giudizio la relazione dell’esperto con il consenso congiunto di entrambe le parti, avvicinandosi quindi alla fruibilità della consulenza tecnica prevista dall’ATP. La mediazione inizia con la designazione del mediatore, aspetto molto delicato in quanto questa figura deve avere delle caratteristiche di imparzialità, trasparenza e idoneità all’espletamento del procedimento. In particolare la competenza nella materia della mediazione (in questo caso res medica) deve affiancarsi anche a quella giuridica cosicché risulta spesso difficile individuare un mediatore che possieda tutti i requisiti richiesti.
A tal fine è applicabile l’art 8 comma 1 del d leg 28/2010 che consente l’affiancamento al mediatore di un soggetto dotato di precise competenze in modo da fornire al mediatore stesso gli elementi necessari alla formulazione di una proposta per la risoluzione della controversia. Proprio per il fatto di essere svolta in un contesto extra giudiziale, e quindi non sottoposta al controllo del giudice, la mediazione o meglio l’elaborato tecnico, che si concretizza nel corso di tale procedimento, non può avere rilevanza probatoria ma potrà entrare nel processo, previo assenso delle parti, come prova atipica. Giova inoltre ricordare che nella mediazione il quesito non è formulato dal giudice per cui potrebbe verificarsi l’evenienza dell’inammissibilità o inattendibilità dell’elaborato peritale agli occhi del giudice di merito a cui adire, successivamente al fallimento della procedure di mediazione. Diversamente l’elaborato del consulente tecnico potrà entrare, previo assenso delle parti, come prova atipica per consentire al giudice adito di trarre utili argomenti ed elementi per il proprio giudizio finale.
A latere di tali considerazioni ne deriva che, sempre in base ai principi di trasparenza e riservatezza che governa la mediazione, la nomina di un eventuale tecnico è subordinata alla conoscenza precisa dei costi che entrambe le parti dovranno sostenere per l’attività svolta dal consulente. Si deve poi tener conto che abbastanza frequentemente una delle parti, seppur convocata, non aderisce al procedimento di mediazione. A fronte della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione obbligatoria (o delegata) l’istante può comunque percorrere il procedimento sino al termine, avendo interesse nella prosecuzione del procedimento. L’altro strumento a disposizione delle parti, e propedeutico al giudizio di merito, è rappresentato dall’ATP ai sensi del 696 bis del C.C. Tale strumento, pur avendo la medesima finalità del precedente e soprattutto avendo un ruolo di propedeuticità al giudizio (in alternativa o insieme alla mediazione), si caratterizza per peculiarità differenti rispetto alla mediazione. In primis questo strumento si svolge all’interno del giudizio per cui assume sia la veste istruttoria che quella conciliativa. Infatti il principale vantaggio offerto dall’ATP è rappresentato dal fatto che la consulenza tecnica svolta in tale ambito può essere acquisita nel successivo eventuale processo. L’atto introduttivo del procedimento di ATP deve presentare la forma del “ricorso” e si può distinguere dal procedimento gemello (696 CC) per la non necessaria allegazione del periculum in mora.
La differenza saliente con la mediazione, oltre alla riproducibilità in sede di giudizio, è data dalla nomina da parte del giudice di un proprio consulente a cui viene formulato uno specifico quesito medico-legale. La scelta del consulente tecnico segue in questa procedura le disposizioni del codice di procedura civile. È quindi evidente che il consulente si diversifica dal mediatore per le proprie conoscenze specialistiche quantunque venga richiesta anche una competenza in materia di conciliazione. Proprio la nomina di un consulente tecnico del giudice consente, ai sensi del 195 c.p.c, la nomina dei consulenti tecnici delle parti e giustifica il corretto svolgimento del contraddittorio con partecipazione dei consulenti, deposito dell’elaborato peritale con possibilità di osservazioni e sintetica valutazione e risposta delle stesse da parte del C.T.U. A quest’ultimo infine è data la possibilità conciliativa prima del deposito dell’elaborato definitivo. La conoscenza di questi due strumenti, seppur sommaria per ovvi motivi di brevità, consente comunque di trarre alcune considerazioni medico-legali rispetto alla scelta dell’uno piuttosto che dell’altro procedimento.
È evidente che ogni caso merita un’analisi a sé ma è altrettanto chiaro che la finalità maggiormente conciliativa della mediazione vada scelta quando nel caso in discussione appare facilmente percepibile la responsabilità dell’operatore come, per esempio, nei casi di mancata raccolta del consenso informato, nei casi particolarmente semplici che non necessitano di particolari approfondimenti tecnici, essendo evidente la responsabilità, sia ictu oculi che documentalmente. Diversamente la procedura mediante ATP dovrebbe essere scelta quando il caso si presenti maggiormente complesso, non vi sia un’evidente volontà conciliativa e si renda necessaria la nomina di un consulente tecnico in grado di dirimere la questione in punto responsabilità (CTU percipiente) oppure di effettuare una valutazione adeguata del danno derivato dalla responsabilità sanitaria (CTU deducente). Si ribadisce infine che ai fini del successivo giudizio solamente la consulenza tecnica effettuata in ATP ha la dignità di prova nel successivo giudizio e di ciò si deve tenere debitamente conto al momento della scelta della procedura preliminare al giudizio.
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