SIOF | Società Italiana di Odontoiatria Forense
di Patrizia Biancucci
La Legge 17/24 all’art. 15 prevede che, nel corso dell’espletamento della attività peritale, la figura del medico legale sia affiancata da uno o più specialisti nella disciplina specifica. Lo specialista di branca nella disamina peritale non ha un ruolo ancillare rispetto al medico legale, essendo a lui riservato il compito di descrivere l’attuazione pratica del trattamento, di verificarne la correttezza, di individuare il nesso causale della lesione, oltre ogni ragionevole dubbio in penale e nella misura del più probabile che non in civile, facendo riferimento anche a dati statistici adattati al caso specifico. Sarà poi compito del medico legale valutare la conseguente menomazione in termini di danno biologico e di percentualizzazione del danno e leggere in chiave giuridica le informazioni ricevute nella relazione dello specialista.
Molti odontoiatri coinvolti nella attività peritale hanno quindi sentito la necessità di approfondire le tematiche relative alla responsabilità professionale frequentando corsi di perfezionamento o master di I e II livello. È nata la così figura dell’odontoiatra forense, che rimane un odontoiatra che esercita a tempo pieno l’odontoiatria, ben lungi dal volersi presentare come un analogo del medico legale, che possiede ben più vaste informazioni in campo giuridico ed opera a tempo esclusivo nel suo ambito specialistico.
Su questi temi abbiamo voluto sentire il parere di un medico legale “di lungo corso”, il dott. Gianni Barbuti laureato in Medicina nel 1980 e specializzato in Medicina Legale e delle Assicurazioni nel 1986. Oltre all’attività medico-legale che esercita quotidianamente, è socio cofondatore della Società Medicolegale del Triveneto (SMLT), Consigliere nazionale del Sindacato Italiano degli specialisti in Medicina Legale (SISMLA) e Consigliere nazionale SIOF.
Dott. Barbuti, cosa ne pensa della legge Gelli-Bianco che prevede l’affiancamento al medico legale di un esperto nella materia specialistica?
È il giusto coronamento di un lungo percorso della medicina legale che da sempre ha rivendicato la peculiarità della disciplina nella sua funzione di tramite fra medicina e giurisprudenza per la determinazione dei profili di responsabilità professionale e di equa valutazione del danno alla persona. Solo il medico legale, grazie a quanto appreso nel quadriennio di studi specialistici universitari, è in possesso nelle nozioni basilari per la corretta applicazione della metodologia sia di determinazione del nesso di causalità fra il comportamento medico e il preteso danno da malpractice sia di valutazione del danno stesso.
Ritiene che un odontoiatra, per quanto masterizzato o certificato in odontoiatria legale, possa essere in grado di lavorare da solo in campo legale?
L’insegnamento appreso in un corso di master aiuta lo specialista clinico di qualunque disciplina, ivi compresa quella odontoiatrica, ad avvicinarsi al mondo medico-legale. Ma nessun master per quanto approfondito può sostituirsi ad un quadriennio di studi specialistici ove il futuro medico legale apprende e attua il metodo proprio della disciplina. Chi ritiene di essere in grado di comprendere e dipanare nel pratico la complessa materia della causalità e della valutazione del danno alla persona, non possedendone gli strumenti culturali derivanti dal corso universitario dedicato ed affinati dall’esperienza lavorativa del tutto peculiare del medico-legale, è esposto all’errore interpretativo, anche grave, a sua volta foriero di ingiustizia sia per il medico chiamato in causa sia per il paziente-utente. Affidare, come un tempo prima della legge 24/2017, l’incarico al solo specialista clinico, senza la guida e l’ausilio del medico legale comportava esiti spesso negativi con erronee attribuzioni di responsabilità e/o erronee valutazioni del danno sia patrimoniale che extrapatrimoniale. Basti pensare che oltre alla conoscenza delle nozioni di base per l’esplicazione della disciplina medico-legale, lo specialista deve costantemente aggiornare le proprie conoscenze con riferimento della continua evoluzione giurisprudenziale per il plastico modificarsi di leggi e sentenze delle Corti.
Lei ha una lunga esperienza come medico legale. Quali sono i principali motivi che portano al contenzioso?
In primo luogo direi la incompleta o addirittura ingannevole informazione al paziente, laddove viene a mancare l’indicazione onesta e concreta del rapporto fra rischi e benefici dell’intervento odontoiatrico. In secondo luogo la mancata assistenza del paziente nel percorso terapeutico, specie nel caso in cui, piuttosto che il singolo professionista, intervenga una struttura complessa che spesso non è in grado di fornire una costanza e una univocità del rapporto medico-paziente. Quest’ultimo viene di volta in volta affidato a professionisti diversi che possono esprimere opinioni discordanti, da cui la confusione e lo sconforto del paziente che non vede chiarezza nel proprio iter. Quello che di fatto i pazienti richiedono è di avere un riferimento stabile, un odontoiatra che sia in grado di ascoltare le preoccupazioni di volta in volta manifestate e dare spiegazioni esaurienti alle giuste domande. La mancata spiegazione, la mancata partecipazione alle preoccupazioni del paziente, la mancanza di tempo dedicato al colloquio, di solito sostituito da impersonali moduli di consenso che spesso non vengono nemmeno letti, conducono inevitabilmente al contenzioso nel caso di insuccesso terapeutico.
L’aumento di contenziosi in Implantologia dentale sono in costante aumento. Secondo lei dipende dall’aumento esponenziale di questa pratica odontoiatrica oppure affonda le radici nel cambiamento del rapporto medico-paziente non più paternalistico?
È indubbio che l’implantologia costituisca pratica moderna in grado di risolvere condizioni di edentulia un tempo incurabili o destinate a trattamenti non soddisfacenti sia sotto il profilo estetico che funzionale. Ma l’incremento del contenzioso deriva principalmente da una mancata condivisione del piano terapeutico, laddove l’odontoiatra si è limitato ad esporre i vantaggi della scelta implantologica (spesso magnificata al di là delle sue effettive possibilità terapeutiche) senza dare al paziente un’informazione adeguata anche riguardo gli svantaggi, le complicanze e gli eventi avversi. Dovrebbe pertanto intervenire una maggiore coscienza dell’odontoiatra, ben declinata dal nostro stesso codice deontologico, che rifugga da chimere pubblicitarie ed eviti l’ansia della concorrenza (se dico al paziente che le cose possono anche andare male, si rivolge ad un altro dentista), proponendo onestamente al paziente la migliore delle soluzioni possibili, bilanciando anche i pesi economici della scelta rapportandoli alle effettive disponibilità del cliente e continuando il rapporto di assistenza durante tutto l’iter implantologico e soprattutto nella fase protesica. L’implantologo non dovrà limitarsi alla meccanica esecuzione dell’intervento, ma seguire il paziente nella fase post chirurgica, rapportandosi anche con il collega che procederà alla fase protesica e rendendosi disponibile ad eventuali reinterventi o correzioni. La mancata collaborazione fra specialisti o una diversa visione del piano terapeutico, la perdita di contatto con il paziente o peggio la tendenza a disinteressarsi del paziente nel post-operatorio, costituiscono i principali motivi di contenzioso.
Dott. Barbuti, secondo lei i premi assicurativi più alti, come nel caso degli ostetrici, sono sostenibili dai professionisti in questo tempo di crisi?
Sarà inevitabile l’intervento del governo con una azione calmierante, esattamente come accade per i premi assicurativi dell’RC automobilistica. D’altra parte l’art 7 della Gelli-Bianco prevede che la valutazione medico-legale e quella economica del danno alla persona da malpractice medica siano uniformate a quella usata nel campo RC auto. Il passo successivo è quindi evidente: l’assicurazione è obbligatoria per i medici e per le strutture, le compagnie d’assicurazione sono obbligate per legge a fornire la copertura del rischio, ergo lo Stato dovrà intervenire sulle tariffe collegandole al costo della vita e alle medie possibilità economiche dei professionisti. Al contrario, lasciando la piena libertà alle Compagnie di fissare i prezzi dei premi non condurrà ad altro risultato di impedire, specie ai giovani, di adire alla professione, riducendo la platea fruibile a danno dei pazienti e innalzando i costi delle prestazioni per mancanza di concorrenza. È un circolo vizioso che dovrà essere regolamentato per divenire virtuoso. Sicuramente fondamentale a tal proposito è l’orientamento proveniente dalle associazioni professionali, sindacali e scientifiche, che dovrà suggerire al legislatore il miglior equilibrio possibile.
Quanto incide dal suo punto di vista la volontà dei pazienti a cercare risarcimenti per motivi economici più che per motivi di errore clinico?
Il fenomeno speculativo indubbiamente esiste, ma è contenuto a pochi sporadici casi. Torna allora evidente l’importanza che la richiesta risarcitoria per presunta malpractice passi al vaglio del collegio peritale, laddove la conoscenza e l’esperienza clinica troveranno la corretta modalità di interpretazione da parte dello specialista medico legale e questo non solo nella fase giudiziale, ma soprattutto e specialmente, in quella prodromica stragiudiziale; la doverosa onestà intellettuale degli specialisti, peraltro pretesa dal nostro codice deontologico, inibirà la nascita stessa di ogni indebita richiesta speculativa finalizzata ad un ingiusto arricchimento del cliente, sia direttamente scoraggiando ogni prosecuzione sine materia, sia indirettamente avvisando il patrocinante (si spera sia sempre un avvocato) della assoluta mancanza di presupposti medico-legali.
Se potesse tornare indietro nel tempo, farebbe di nuovo la scelta della Medicina Legale?
Assolutamente si e senza alcun ripensamento. La medicina legale è l’ultima delle discipline mediche olistiche, che permette di spaziare in ogni campo dell’immenso universo della conoscenza medica. Nella mia attività quotidiana, passo nella stessa giornata da un accertamento autoptico per omicidio stradale, ad un caso di responsabilità professionale per poi dedicarmi ad una richiesta pensionistica. Ogni caso di responsabilità professionale, tanto per citare uno dei tanti ambiti della medicina legale, impone lo studio della materia, ovviamente con la guida esperta del collega specialista di branca. Il medico legale deve rifuggire dalle sindromi di Leonardo Da Vinci e di Michelangelo, magistralmente descritte dai grandi di un tempo come Introna e Fiori, ovvero dalla superbia di tutto conoscere e di tutto discettare, ammettendo soprattutto di non sapere ma di essere in grado di carpire le informazioni sostanziali dal collega specialista, verificarle nella bibliografia (guai ad adagiarsi nella trascrizione di quanto trasmesso dal collega, senza alcun vaglio critico), poi tradurle per il lettore non specialista (il magistrato o l’avvocato), utilizzarle per asseverare o meno il nesso di causa fra la presunta condotta colposa del medico e il danno, e infine procedere nella fase totalmente solitaria di determinazione del danno alla persona, difficile e spesso foriera di angosce notturne e ripensamenti. Seppure affascinante, rimane una disciplina dura, che richiede una totale dedizione, che porta via il sonno e la tranquillità, ben riconoscendo che dal nostro parere derivano le sentenze e in ultimo le sorti, non solo economiche, del cittadino che richiede giustizia.
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